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Ecco un nuovo numero di Finding Beauty, la newsletter per gli esploratori della bellezza a cura di Antonio Di Battista, Creative Director di Imille.

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N°53 | 22 maggio 2021

Ciao Findingbeauters,

sarà stato sul finire dei ‘90. L'anno non me lo ricordo, ma le sensazioni di quel sabato mattina ce l'ho qui davanti, come uno storyboard. Del resto è così che funziona il nostro cervello: non ricordiamo i dettagli di una cosa che ci è successa, ma non dimenticheremo mai come ci ha fatto sentire. Mio fratello studiava all'Accademia di Brera, avviandosi al percorso che lo avrebbe portato alla Scala dove lavora tutt'oggi come scenografo. Io vivevo ancora in Abruzzo e qualche volta andavo a trovarlo in treno. Sei ore di percorsi esistenziali Pescara-Milano. No, niente Frecciarossa all’epoca. Era un terribile sabato mattina di novembre, in una bruttissima Milano anni ‘90, cioè molto prima che l’Expo la trasformasse in quella città da stock library che conosciamo oggi. Era una città nevrotica, uggiosa, scortese, nella quale si viveva il tempo di scappare. Ora i milanesi convinti mi diranno che non è vero e che Milano era una ficata anche negli anni ‘90. Buon per voi, a me faceva una discreta tristezza. La nebbia implacabile e la pioggerellina stronza di quel sabato di novembre ne erano per me la metafora perfetta. Poi con Milano ho fatto pace, tant'è che oggi ci vivo. Ma quelle coltellate di cielo senza luce mi trafiggono ancora adesso. Mio fratello condivideva questo bilocale con un altro studente toscano, sarà stato di Livorno o qualcosa del genere. Uno di quei personaggi inconcludenti che sembrava uscito da un romanzo di Nick Hornby, ma senza averne né l'ironia, né lo spessore. Di lui ricordo solo le canne d’erba mediocre e una fastidiosissima risata nasale, immagino legate da un rapporto di causa-effetto. Nel bagno del loro bilocale in corso San Gottardo è dove avviene il mio primo incontro con il protagonista di questo racconto: Franco Battiato
 


 

Pezzi di Battiato li avevo già sentiti, ovvio. Ma la verità è che non li avevo mai ascoltati. Mio fratello aveva questo piccolo stereo antracite a righe orizzontali spesse, di quelli con una musicassetta sola, gloriosamente sopravvissuti agli anni ‘80. Stava talmente bene con le piccole misure del bagno, che sembrava glielo avessero costruito intorno. Già me li vedo i muratori che stavano lì a mettergli lo stucco intorno, pur di non sottrarlo all’esattezza geometrica degli spazi ridotti. Fatto sta che quella mattina eravamo solo io e mio fratello. Il coinquilino livornese era tornato a casa per il weekend e dentro di me speravo che vi restasse per sempre. E così, mi concedo di prendermela con calma e di seguire i miei rituali preferiti del mattino: musica e barba. Un rituale del costui piacer sì forte, che 20 anni dopo ancor non m'abbandona. 
 


 

C'era questa cassetta di Battiato. Non di quelle originali, non scherziamo. Di quelle scritte con il pennarello nero sul dorso e assemblate con una registrazione e l’altra. Un giorno sarà buffo spiegare a mia figlia, di una generazione che non si è nemmeno guadagnata ancora una consonante, cosa fosse una cassetta e come si facesse a registrarla. Insomma, metto questa cassetta. Acqua sul viso. Non so voi, ma io sono della scuola dell’acqua fredda. Schiuma spalmata con la mano destra, perché con la sinistra non sono mai riuscito a fare nemmeno le cose più rudimentali e il pennello boh, mi è sempre sembrato sopravvalutato. Lametta a 5 lame, più lama di precisione, retromarcia e segnalatori di distanza. Mai badato a spese sulle lamette. Scivola perfetta tra la pelle e la schiuma mentolata il giusto, quella che all'inizio è verde fluo e viscosa, e poi quando la spalmi diventa bianca e spumosa. Mai badato a spese sulla schiuma. La lametta scivola con la stessa perfezione di “Mal d’Africa”. Le parole, la voce e la musica si erano date appuntamento sui miei zigomi. Si aspettavano più o meno da 20 anni.

"Dalle finestre un po' socchiuse spiragli contro il soffitto
e qualche cosa di astratto si impossessava di me"


Quel sabato mattina sembrava che Battiato mi avesse visto farmi la barba e avesse deciso di scriverci una canzone intorno. Come i muratori con lo stereo. Ascoltai la mistica di quel pezzo e m’illuminai d’immenso. Buffo che anche la poesia di Ungaretti si intitolasse “Mattina”. Anche la mia, quella mattina, era un'esperienza sinestetica. 
 



Sopra: la prima stesura di "Mattina" di Ungaretti, che si intitolava inizialmente "Cielo e mare", ma poi abbreviata per via del suo approccio ermetico.
 

Di Battiato dicono che avesse quest'aurea di intellettuale distante ed esoterico, ma che nella vita fosse una persona ironica ed epicurea. Io con lui mi sono fatto corse in bici, corse nel parco, corse nella metro e corse in motorino, soprattutto negli anni romani, quindi per me Franco era un amico stretto, sarei troppo di parte nel darvi un giudizio. Se la nostra amicizia si potesse misurare con una lunghezza, sarebbe probabilmente quella dell'Equatore. Io e Franco ci conoscemmo in quel brutto sabato mattina e lui vi portò una bellezza infinita.
Spero che nel suo piccolo questo racconto possa portarne un po’ nel vostro. 


A Franco e a mio fratello dedico questo video di Daihei Shibata, artista giapponese che ci ricorda l'importanza delle sfumature. Quelle della barba, così come quelle della vita. L’importanza di tutto quello che abita tra il sì e il no, tra uomo e donna, giusto o sbagliato, buono e cattivo, cielo e mare, apollineo e dionisiaco. Dedico tutto questo alla bellezza dell’ambiguità.

GRADATIONs

 

Ciao parole che non sentiremo più in una canzone.
Ciao Franco my old friend.

Ant



 


Antonio Di Battista

Creative Director

 


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