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copertina di: Nat Geo

 

Ecco un nuovo numero di Finding Beauty, la newsletter per gli esploratori della bellezza a cura di Antonio Di Battista, Creative Director di Imille.

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N°54 | 29 maggio 2021

Ciao Findingbeauters,

la prima volta che ho incontrato un’ape è stato il mio piede destro ad incontrarla. Avrò avuto 8 anni. Massimo 9. So’ 10, che faccio, lascio? Era un'estate gloriosa del glorioso 1990 ed ero in vacanza in Sicilia con la mia famiglia. Di quest’altra famiglia, quella che ci ospitava, ricordo solo le cose che contano: 

- un buonissimo gelato alla nocciola, di quelli dal colore marroncino molto tenue e quindi vero, perché verosimilmente senza coloranti. Aveva il colore che il gelato dovrebbe avere e io lo andavo a trovare di tanto in tanto nel loro freezer. Il tocco della perfezione lo riconoscevi nella granella croccante che veniva a trovare di tanto in tanto i miei denti e io adoro sgranocchiare consistenze diverse. Segno che in una vita precedente sono stato un Labrador;
- i baffi né troppo grandi né troppo piccoli e quindi giusti del pater familias; 
- i denti sporgenti del figlio biondo riccio, con dietro una sorta di mullet residuo degli '80, ma ancora accettabile nel '90; 
- le sopracciglia disegnate a matita della signora, che altrimenti non ne avrebbe avute; 
- una pizza con del pesce buonissimo che ci portarono a mangiare a cena, ma che era troppo sottile per reggere il peso dei frutti di mare e quindi, sollevandone le fette, si era creato un buco al centro, costringendomi a mangiarla con le posate. Che peccato, quel buco aveva rovinato tutto. Io odio mangiare la pizza con le posate e quelli che lo fanno mi hanno sempre messo di cattivo umore. 
 


Una foto dell'altra famiglia, con il puzzle dei ricordi finalmente completato, nella gloria delle tute felpate-acetate dei primi '90.

Ricordi confusi di come le due famiglie avessero fatto amicizia, ma aveva a che fare con mio fratello Simone che giocava a calcio nelle giovanili del paese di mio padre. Non so se fosse bravo, tendenzialmente secondo me sì. Lui è sempre stato portato per gli sport e per le lingue. Fatto sta che con quella divisa rosa-nero stava benissimo. Credo che avesse giocato in un qualche campionato in cui si affrontavano le squadre di provincia e avrà avuto come avversario il rispettivo figlio dell’altra famiglia, poi evidentemente non più avversaria.
 


Al centro: mio fratello Simone in un momento di scambio della sua maglia rosa-nero con quella rosso-blu della squadra avversaria, facendo trionfare così i valori dello sport e sdoganando le Timberland sotto la tuta.

Ora vai alla scena di me affacciato su una balaustra del lungomare di Balestrate, cioè il centro-destra di quel sorriso che si staglia tra San Vito lo Capo e Cinisi, nel quale eravamo in vacanza. Erano quelle estati da bambino in cui ti toglievi le scarpe a giugno finita la scuola e le rimettevi a settembre una volta riniziata. E così, se hai le ciabatte e ti sollevi per affacciarti dalla balaustra, perché non eri particolarmente alto nemmeno all’epoca, si crea un'intercapedine tra la gomma e la pianta del piede. Si crea come un vuoto.

Vai alla scena di questa ape che vive tranquilla la sua vita da ape. Poche pretese: svolazza come le chiacchiere fatte con un estraneo alla fermata dell'autobus e segue le rigidissime regole della struttura sociale delle api. Le api pungono solo se si sentono in pericolo, quindi se vedi un’ape e soffri di melissofobia, l'errore più grande che tu possa commettere è fare quello che farebbe un melissofobico: dimenarsi o correre o fare altri gesti inconsulti, che faranno aumentare le tue possibilità di urtarla ed essere punti, alimentando così la paura per le api. Un circolo vizioso. Per il resto, l’accordo non scritto con le api è: tu non dai fastidio a me, umano, e io insetto non do fastidio a te. Io ape mantengo in equilibrio il tuo ecosistema e tu umano lo distruggi.
 


Sopra: un'ape operaia vista allo scanner.

Ora torna al vuoto creatosi tra la ciabatta e la pianta del mio piede. L’ape decide che quel vuoto fosse il luogo dell'appuntamento con il suo destino. Lei aspetta che il piede torni ad appoggiarsi sulla ciabatta e pensa che quel momento non doveva lasciarselo scappare. Lei voleva mettersi proprio lì in mezzo, non da un'altra parte. E così ci si mette. Minchia se ci si mette. Come un apostrofo giallo tra le parole “male cane”. Avete presente quanto rompe il cazzo una puntura di zanzara all'arcata plantare? Ora pensate a quella di un’ape. 
 


Sopra: una foto del certificato che sancisce un'allergia piuttosto seria di mio fratello alla puntura delle api, al punto da doversi fare dei vaccini ricorrenti e ottenere l'esenzione dalla leva militare. 


Fun fact che oggi fa ridere, ma all'epoca per niente. In quel periodo c'erano stati diversi fatti di cronaca di persone che erano state punte da alcune siringhe lasciate in spiaggia da tossicodipendenti, raccontati con la sobrietà tipica dei media italiani. Era anche l'anno dello spot dell’AIDS con l'alone viola e la musica inquietante, che aveva colpito moltissimo il mio immaginario di bambino. Se lo conosci, lo eviti. Shakera questo cocktail di suggestioni infantili e ottieni me convinto che fosse stata una siringa a pungermi e non un’ape. Nonostante i miei mi facessero vedere l'insetto ancora rantolante a terra e che non ci fosse nessuna siringa in tutto il golfo di Castellammare, io ormai avevo deciso così. Al dolore si aggiunse dunque la paura. 

Le altre volte che ho incontrato delle api sono state: 

- una volta mentre ero in scooter (una bella grossa mi entrò nel costume, pungendomi nel Ministero dell’Interno Gamba, in quei luoghi che dovrebbero essere coperti dall’intelligence);
- una volta con Emma molto piccola al mare con le cuginette (punse la bimba su un polpaccio e soffrii come se avesse punto me).

Tirando quindi una riga, potrei dire di avere abbastanza motivi per farmi stare le api sul cazzo. Ma le api fanno solo le api. Sarebbe come dire che il leone è cattivo perché mangia la tenera gazzella. Il leone fa solo il leone. Quello che fanno le api è semplice: salvare il nostro ecosistema, permettendo l'impollinazione. Ma per via dell’accordo non scritto tra il Ministero degli Umani e quello delle Api, i primi sono tenuti a distruggere le seconde. Questa mattina ho sentito Greta Thunberg alla radio che diceva che noi non dobbiamo salvare il pianeta, perché il pianeta troverà sempre il modo di sopravvivere all'uomo. Noi dobbiamo salvare noi stessi. Distruggere le api e il loro ecosistema è dunque la nostra piccola forma di suicidio quotidiano. 

Ora vai alla scena di Angelina Jolie che si fa cospargere di api per National Geographic, andando così a corroborare due delle tesi di questo racconto. La prima: le api pungono solo se si sentono in pericolo. La seconda: l'importanza di ricordare al mondo l'importanza delle api per il mondo. La terza che non era nell'elenco iniziale: va bene che Angelina è un'attrice, ma il suo sangue freddo è impressionante. Guardatelo poi nel video qui in fondo. Questa per me è la Top 1 della settimana: una delle donne più belle del mondo, cosparsa dell'insetto più bello del mondo. E se ancora non avete capito che le alucce di questo minuscolo volatile sono come Atlante che sorregge il peso del pianeta, beh, vuol dire che da piccoli non avete visto abbastanza cartoni.

BEE MY GUEST

 

 


Antonio Di Battista

Creative Director

 


IDEAS FOR BREAKFAST


Nel momento in cui l'audio è il re indiscusso, abbiamo il piacere di ospitare la sua piattaforma principe: Spotify. Insieme ad Anna De Gaetano, Creative Strategist, parleremo di trend e insight e guarderemo qualche bella case study che ci darà il la per farne ancora di più belle. E soprattutto cercheremo di rispondere alla più difficile delle domande: esiste un mondo oltre la trap? Ci vediamo venerdì 11 alle 16:30.
 


 


 


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