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copertina di: Christian Schilling

 

Ecco un nuovo numero di Finding Beauty, la newsletter per gli esploratori della bellezza a cura di Antonio Di Battista, Creative Director di Imille.

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N°55 | 05 Giugno 2021

Ciao Findingbeauters,

credo che nessuno in vita sua abbia mai chiamato mia nonna Maria, Maria. Era una donna di buona stazza abruzzese, ma tutti hanno sempre usato con lei il vezzeggiativo “Marietta”. Del resto, tutte le donne del borgo in cui ha vissuto portavano un nome attenuato o vezzeggiato da qualche suffisso, credo che fosse la regola del tempo. Lei ha avuto una fine che non meritava, ma è della vita che c'è stata prima che parlerò oggi e che c'è ancora adesso nel neo che ho qui sulla basetta destra all’altezza dell’Elice, cioè il modo in cui gli anatomisti chiamano la parte frontale della curva dell’orecchio e che costringe ogni volta il mio barbiere ad una sorta di dribbling. Marietta è nella testa incassata nelle spalle di mio padre quando è stanco, deluso, riflessivo o semplicemente pigro. È nella bocca semi aperta di mia figlia quando mi guarda perché non riesce a processare un pensiero o un input che le hai dato e pretende di capire di più dei suoi due anni. È nel modo spezzato e sforzato che ho di respirare quando sono concentrato in qualcosa, anche adesso che scrivo. Quindi chi pensa che la vita di Marietta non ci sia più è solo una persona poco incline all’osservazione.
 


Mia nonna, Marietta D'Egidio.

Potrei perdermi a dirvi di lei per 40 giorni e ritrovarmi ad affrontare i miei demoni nel deserto, ma è solo un'immagine che le prenderò in prestito. Quella di lei che guardava le soap opera argentine negli anni ‘80. Di base, quelle che seguiva lei avevano tutte Grecia Colmenares come protagonista (Topazio e Manuela le sue preferite), tranne La donna del mistero che aveva invece Luisa Kuliok nei panni di Suor Felicità. Ma lei non si limitava a guardarle. Lei ci interagiva. Molto prima che esistesse la smart tv. Lei parlava con i personaggi, ne commentava le scelte, si arrabbiava quando non le condivideva e si impietosiva quando le subivano. 50 minuti di completo tele-trasporto, che lasciavano il me bambino in questa sorta di meta-intrattenimento in cui guardavo mia nonna che guardava la tv.
 


Un frame della sigla originale di Topazio, prima che il flat design irrompesse sulla scena.

Marietta si arrabbiava soprattutto quando la storia non andava come voleva che andasse. Quando la sua adesione morale o empatica andava tutta verso un personaggio, che quei poveracci di sceneggiatori si trovavano a dover mettere davanti a qualche conflitto più o meno probabile, che non era quello che Marietta aveva in mente per il personaggio. Ma vorrei vedere voi a tirare avanti un plot che incassa ascolti e pubblicità per stagioni e stagioni. Questi poveracci di sceneggiatori, insomma, cercavano di sviluppare le contorsioni delle linee narrative e le intrecciavano e disfacevano come una trama di Penelope, con l'obiettivo di tenere Marietta fissa davanti alla soap e alle pubblicità dei soap. Uno sbattimento, quello degli autori, di cui non guarderemo l’output finale, ma la dinamica. La stessa che spingeva Dante a creare virtuosismi o che spinge i rapper a tutte quelle costruzioni di senso volte a chiudere le rime. Più o meno felice che sia il risultato, che entri nella storia della letteratura o tra le hit dell'estate, entrambe sono il frutto di un processo comune: il pensiero laterale.

Questa espressione viene coniata nel '73 da Edward De Bono e descritto nel suo libro Lateral thinking: creativity step by step. Si tratta di "un insieme di soluzioni tecniche non convenzionali, orientate a riesaminare un problema evidenziando nuove associazioni e relazioni che potrebbero non essere chiare quando al problema si accede attraverso il pensiero verticale". Il pensiero verticale è quello strutturato come una ricetta in cucina dove, seguendo le istruzioni, alla fine non saremo sorpresi da ciò che uscirà dal forno. Più o meno cotta, saporita o soffice, ma all'incirca quella che viene fuori dalla ricetta della torta di mele è una torta di mele. Il processo è prevedibile, come il suo risultato. Viceversa, il pensiero laterale impiega diversi percorsi per risolvere un problema, che possono portare a diverse soluzioni. Un investigatore risolve il suo caso seguendo una pista non lineare. Un atleta fa di un suo limite la sua forza. Uno chef crea una torta di mele che è l'assaggiatore a dover ricomporre nel piatto. L'investigatore vince un Oscar. L'atleta una medaglia olimpica. Lo chef, una stella Michelin.
 


Un classico schema visivo utilizzato da De Bono per spiegare il pensiero laterale.

Ora noi andiamo al cinema (finalmente!) a vedere storie di uomini che, punti da un ragno, ne acquistano elasticità e capacità di ordire la tela. Leggiamo libri di uomini che si svegliano nelle sembianze di un insetto. Guardiamo serie di draghi usati come armi da guerra. Ceniamo in ristoranti giappo-brasiliani e siamo disposti a pagare tanto per goderne. Paghiamo anche il biglietto delle montagne russe per poi averne paura. Seguiamo sui social pagine nonsense di meme e li giriamo ai nostri gruppi di Whatsapp quando ci fanno sbuffare dal naso. Facciamo cioè una serie di cose, pagando, per intrattenerci. Cose che non ci servono per vivere. Ci servono per sentirci vivi.

E poi c’è la pubblicità. Che invece è gratis - o almeno così ci sembra - e che avrebbe tutto l'interesse ad intrattenerci come e forse di più di quella serie sui draghi che sta interrompendo. Qui lo schema del pensiero laterale dovrebbe essere spinto alle sue massime sperimentazioni eppure, per qualche motivo, resta per lo più inapplicato. La pubblicità tende ad essere invece descrittiva, didattica, paternalistica. Il mondo delle sue rappresentazioni è una versione appena idealizzata (vedi alla voce: aspirazionale) del mondo della sua audience. Uno accende la tv o va sui social per sfuggire al suo mondo e invece se lo ritrova raccontato pari pari, ma appena un po‘ meglio, dalla pubblicità. Le sue call to action ti dicono proprio quello che devi fare, perché altrimenti a te che sei interessato a quel prodotto/servizio/contenuto potrebbe non venirti in mente di “cliccare qui”, “scoprire di più” o “richiedere un preventivo”. Un mondo di esseri umani evidentemente pigri, che hanno bisogno di una continua chiamata all’azione. Traduzione letterale.
 


La falsità di Laura Linney, che in questo frame di The Truman Show mostra il prodotto dritto in camera e invita il pubblico a provarlo.


Ma per fortuna, ogni tanto, c'è anche un'altra pubblicità. Quella in cui non distingui il confine con il film che hai visto al cinema, la serie su Prime Video o il romanzo che hai appoggiato al comodino; che contravviene alle regole della durata, dei formati, del logo nei primi 5 secondi, delle strategie media, delle call to action e delle rappresentazioni aspirazionali del suo pubblico. Per fortuna il firmamento dell’advertising è costellato di tanti esempi come questi (tanti, ma forse non tantissimi). Sceglierne alcuni da far vedere qui sarebbe stato difficilissimo, un po’ come quelle catene sui social di qualche tempo fa in cui ti taggavano chiedendoti di elencare i 5 film o i 5 libri che ti hanno cambiato la vita: impossibile. Ok boomer. Ecco perché ne ho scelta una sola, solo perché è la più recente che ho trovato. Forse dovrei dire abbastanza recente, perché è uscita a metà maggio e nella ricerca spasmodica della next big thing tipica del settore, equivale a dire che è del secolo scorso. Fatto curioso e per me ancora più interessante: non è una pubblicità vera e propria. È un cosiddetto spec, un progetto speculativo di un'accademia di cinema tedesco, supportato dal regista Christian Schilling. Quindi ha a che fare sì e no con l’advertising, ma forse proprio per questo è capace di uno sguardo fresco, profondo e non banale. Vale a dire, laterale. E il fatto che sia abbastanza recente dimostra che beh, forse si può ancora fare.

Mi chiedo se a Marietta questo film sarebbe piaciuto. Qualcosa mi dice di sì.

THE POWER OF LATERAL THINKING

 

 


Antonio Di Battista

Creative Director

 


IDEAS FOR BREAKFAST


Si può fare un buon lavoro senza una buona ispirazione? In Imille, noi pensiamo di no. Ecco perché abbiamo dato vita ad Ideas for Breakfast, un format di incontri aperti con persone che fanno un lavoro in grado di ispirare il nostro. Ogni venerdì mattina facciamo colazione con registi, scrittori, musicisti, giornalisti, creator, artisti e professionisti di ogni tipo, tutti accomunati da una cosa unica: delle buone idee e una buona storia da ascoltare. Seguici sui nostri social per scoprire i prossimi ospiti e i prossimi appuntamenti. Ci vediamo per il caffè.

Ecco il prossimo ospite:



Nel momento in cui l'audio è il re indiscusso, abbiamo il piacere di ospitare la sua piattaforma principe: Spotify. Insieme ad Anna De Gaetano, Creative Strategist, parleremo di trend e insight e guarderemo qualche bella case study che ci darà il la per farne ancora di più belle. E soprattutto cercheremo di rispondere alla più difficile delle domande: esiste un mondo oltre la trap? Ci vediamo venerdì 11 alle 16:30.
 


 


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